venerdì 18 giugno 2010

Grigio

Grigio.

Il grigio non è un colore, è una condizione dell’animo, una comune inclinazione, una malattia che si diffonde con una nota, di testa in testa, di bocca in bocca, e porta tutto all'estremo opposto della vita.

Non parlo del grigio della nebbia, porto dell’anima. Né di quello che ci abbraccia quando siamo tristi o malinconici, regalandoci momenti di lirismo tragico ma vivo.

La bestia a cui mi riferisco è il grigio delle strade e dei grattacieli che si riflette in quello delle teste.

Il grigio nascosto dei cieli estivi, delle giornate di sole che non vediamo, delle ore che passano tutte uguali: non c’è mattina, non c’è sera. Il grigio del caldo e del freddo perpetuo. Il grigio dell’abitudine, della routine, della distrazione infinita, del non vedere quello che accade, del non ascoltare.

Il grigio di chi non pensa più con la sua testa. Ma è convinto di essere libero. Di chi passa le giornate ad ammirare le vite degli altri e non colleziona nemmeno un sentimento, uno soltanto, che possa essere veramente suo. Di chi ha tutti i giorni prestampati, di chi ha barricato il proprio petto contro nuove esperienze, di chi cammina sempre sulla stessa strada, di chi non si concede di sbagliare.

Il grigio di chi ha deciso di giustificare ogni sua scelta. Di chi si accorge che guidare un SUV è un’esperienza reale solo quando ammazza qualcuno. Il grigio di chi chiede rispetto e non porta rispetto. Quello di chi “tutti questi immigrati …”. Di chi crede che la politica non sia affar suo. Di chi ha deciso che vivere vuol dire cazzeggiare aspettando la morte.

L’Italia non è né verde, né rossa, né bianca. E’ ormai grigia in ogni suo atomo, fusa in un’oscena scultura di ventrigli d’animo. Morirà, forse lentamente, o magari dandoci l’illusione di una qualche ripresa.

Una cosa è certa: quando tirerà l’ultimo respiro, gli imbianchini responsabili di questo disastro saranno già su di un’altra barca, lontani.

Almeno che …

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