
Davanti ad una finestra, ad un cancello socchiuso posso annullarmi per ore, sparire dal mondo senza nemmeno capire come.
Una luce molto calda, o l’angolo disordinato di una cucina. La penombra di un salotto e il riflesso della televisione in una stanza spenta fanno partire la mia testa per una tangente magnifica. Chi popolerà quegli spazi? Sarà solo? Cosa starà facendo?
Mi ritrovo sempre a credere che la vita dietro quel piccolo squarcio nell’ennesimo austero edificio sia più bella, più ricca di cose da dire, da raccontare della mia. A volte penso quasi di aver catturato una vibrazione, una frase, e quella frase si manifesta in quel momento tanto incomprensibile da dover nascondere obbligatoriamente qualche segreto salvifico per il mio di mondo. Come se ci fossero due pianeti: quello di chi può, e quello di chi osserva …
L’altra sera mi sono fermato a pochi metri da casa, davanti ad un bel terrazzo profumato di gelsomino, stoico nel freddo che ci ha di nuovo raggiunti. Una lampada a muro ombreggiava la stanza in una luce tiepida, e il brusio di una radio copriva il rumore del libro che l’uomo, che mi dava le spalle, leggeva sulla sua poltroncina. È rara a Firenze la possibilità di vedere qualcuno vivere casa sua quasi ad altezza del tuo sguardo. Così mi sono accucciato dall’altra parte della strada, ad osservare. Mi sono immedesimato nella voce narrante di un libro, il suo libro. Mi sono convinto di star osservando uno scrittore, un vero scrittore, uno di quelli che ti cambia il destino con una parola. Quello che stava ascoltando alla radio nella mia testa si è trasformato in una registrazione di Radio Londra, mentre il libro in mano … sì, deve essere per forza qualcosa sui partigiani! Bisogna parlare dei partigiani, di questi tempi, bisogna farsi trovare pronti! E quel cappello! Portava prima un cappello? Poco importa. La cosa fondamentale è che ora lo indossa, e gli copre così un poco gli occhi, ne sono sicuro. Il bavero rialzato, come se volesse difendersi anche lui dal freddo, ma, forte come il suo gelsomino … ha appena alzato la mano. Starà recitando forse la parte del suo protagonista? Del giovane ragazzo che la sua mente sta tratteggiando, in un tramonto promettente di fine di Aprile, quel ragazzo che, tra i gelsomini e il grecale e un torrente ingenuo, morirà cercando di raggiungere la sua Agnese, la sua dolce amata Agnese …
La mano ha invece acceso un’altra luce, lattiginosa e asettica, e dalla poltrona è scivolato un piccolo libro, qualcosa con una fotografia poco nobile. La radio ha interrotto il suo brusio per annunciare il mancato goal di qualche distratto calciatore.
È caduto qualcosa, ho subito questo rapido rovescio dell’irrealtà come una violenza. Ho raccolto i cocci, li ho messi al centro di un fazzoletto che ho poi ben ripiegato e scaldato, fino a quando le parole stasera per descriverlo non sono arrivate da sé. Il resto di quella serata e della mattinata seguente mi sono masticato la lingua nella domanda banale: quanto di quello che vivo nelle altre persone è reale?
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